Trilogia Dell'Altipiano

Mario Rigoni Stern
Storia di Tönle 1978
L'anno della vittoria 1985
  Le stagioni di Giacomo 1995

A concludere la Trilogia dell'Altipiano, Le stagioni di Giacomo.
In una contrada uscita stremata dalla Grande Guerra, un giovane cerca di sopravvivere facendo tanti mestieri, per ultimo il recuperante. Nel silenzio dei monti, alla ricerca di residuati bellici, Giacomo impara a conoscere la natura e a decifrarne il linguaggio segreto.
Fonte Einaudi

Le stagioni di Giacomo

Sono passato e non c'era nessuno. Silenzio attorno e dentro le case. Lontano si sentiva abbaiare un cane e nel cielo gracchiare una coppia di corvi. La neve era arrivata bassa, fin sopra il Moor, ma anche se era freddo i camini non fumavano. Tutte le porte erano ben serrate, chiusi gli scuri alle finestre. Ricordavo chi abitava qui porta per porta perché da ragazzo venivo quassù dal paese per giocare con il mio compagno di banco. Ricordavo dove erano le vacche, dove i cavalli, l'asino. E gli orti ben coltivati, e la fontana da cui sgorgava un'acqua freschissima: prima bianca, poi limpida dopo che l'aria incorporata svaniva dalla superficie del bicchiere.

...La Grande Guerra non aveva distrutto del tutto questa contrada; non l'aveva rasa al suolo come le altre vicine. Stranamente era rimasta in piedi anche se era stata sotto il tiro di tutte le artiglierie, anche se era stata abbandonata, ripresa e ancora abbandonata da italiani e austroungarici.

...Adesso, da una trentina d'anni, le sette porte della contrada si aprono solamente quando i cittadini salgono dalla pianura per fare vacanza. I discendenti di coloro che le avevano costruite con le pietre scavate dalle montagne e con i tronchi scelti nei nostri boschi, che le avevano riparate nel 1920, che qui avevano iniziato o terminato la loro vita, o che da qui erano partiti per luoghi lontani di lavoro, o per guerre, non ci sono più. Non si accendono focolari ma si fanno le grigliate all'aperto bruciando salsicce sui barbecue nei fine di settimana. Gli orti sono diventati parcheggi. Anche la fontana non c'è più: impediva la manovra alle automobili. Tutto è cambiato. È molto lontano quello che era vivo dentro questa casa, rimasta vuota di tutto e piena di silenzio. Qui era nato e vissuto fino ai vent’anni il mio compagno di banco.

...Il paese era ormai stato ricostruito, solamente qualche baracca restava qua e là; il nuovo municipio, tutto in blocchi di marmo rosa a vista, aspettava il principe Umberto di Savoia per essere inaugurato. Anche le sei nuove campane, posate sui tronchi davanti alle porte della chiesa, erano in attesa che il campanile venisse terminato per salire nella cella campanaria.

...Anche Giacomo, Nino e Mario erano li a tirare con tutte le loro forze, stringendo i denti e le mani. Quando venne sera tutte e sei le campane furono lassù; di li a qualche giorno avrebbero suonato a distesa per San Matteo patrono. Il padre di Mario diede ad ognuno dei tre ragazzi dieci centesimi e loro, di corsa, andarono dalla Betta del Toi a comperare tre mele succose e verdi per ristorarsi della fatica.

...Il 1928 era stato un anno particolarmente caldo e arso; mai, a memoria d'uomo, si erano da noi raggiunti i 39 gradi. Gli incendi dei boschi che la guerra aveva risparmiato ogni tanto spandevano sopra il paese il fumo acre degli alberi che bruciavano.

...Un freddo pomeriggio, era l'11 febbraio - a quell'estate caldissima e secca era seguito un freddissimo inverno! - Le campane suonarono a distesa e la gente si domandava il motivo di tanta festa. Lo seppero il giorno dopo quando l'arciprete don Guido lo predicò alla prima messa e il podestà fece affiggere un avviso per i cittadini in cui si spiegava che lo Stato e la Chiesa si erano riconciliati. Mussolini e il cardinale Gasparri avevano firmato i patti. A scuola le maestre illustrarono il grande avvenimento. Quando anche Giacomo ritornò a casa - aveva fame perché le due piccole patate e la tazza di latte del mattino erano state digerite da un pezzo - dopo aver mangiato un piatto di minestrone d'orzo con una fetta di polenta, raccontò alla madre e alla nonna quanto aveva spiegato la maestra Elisa: - Ora il Papa e il Duce si sono messi d'accordo; sono i due capi che stanno a Roma: uno comanda le anime e l'altro i corpi. Uno lo Stato e l'altro la Chiesa.

...Nella classe «Terza A» c'erano quarantacinque ragazzi. Il 7 ottobre la maestra aveva parlato di licheni, muschi, erbe, arbusti e alberi; di spore, di radici e di fusti; di rami e di foglie; di fiori, di frutti e semi. Alla fine della lezione aveva invitato ognuno a portare per l'indomani un rametto di specie diversa. Un esperto di botanica sarebbe venuto in aula a spiegare l'albero da dove era stato staccato il ramoscello. Come sempre nel ritornare a casa Giacomo si era messo insieme con i ragazzi delle contrade vicine e dopo mezz'ora di strada era entrato nella piccola cucina dove il minestrone era tenuto in caldo sul focolare. La nonna gli riempì un piatto e lo pose sul tavolo dove aspettava anche la polenta. Mangiò in fretta. - Tua madre e Olga sono su nel campo a cavare le patate. Ti aspettano, - disse la vecchia. Lui si alzò e prese dal focolare l'accetta che serviva a far piccola la legna per avviare il fuoco. - Cosa vuoi fare con quell'arnese? - Devo tagliare un ramo di un albero per portarlo alla mia maestra. E’ come la lezione di casa per oggi.

...Scritto a mano su un cartone bianco avevano letto PROSSIMAMENTE e prossimamente voleva dire il film di Tom Mix.

...I cartelloni con le riproduzioni dei fotogrammi erano inchiodati su un telaio fuori della porta della chiesa; il più grande mostrava lui sul cavallo bianco, il cappello a larghe tese e lo sguardo lontano oltre l'orizzonte. - Chissà che bello sarà questo cinema, - disse Giacomo a Nino e a Mario. Ma se Nino poteva chiedere i cinquanta centesimi del biglietto a sua madre e Mario a suo nonno, lui proprio non li poteva domandare a nessuno.

...Ma quella settimana il pensiero del film di Tom Mix gli ritornava con insistenza nella testa e per mettere insieme i cinquanta centesimi del biglietto decise di andare a recupero nelle trincee del Ghelleraut. Appena ritornato dalla scuola, dopo aver mangiato il solito minestrone d'orzo con rotta dentro una fetta di polenta, prese la vanghetta e un sacchetto di tela. - Dove pensi di andare con quella roba? - gli chiese la madre. Ricordati che devi anche spaccarmi un poco di legna. E non hai lezioni da fare? - Vado fuori un'ora, verso il Ghelleraut.

...Giacomo non poteva sapere di quanto era accaduto la notte di quel 15 giugno, e tra le buche e le postazioni distrutte si mise a scavare per raccogliere palline di piombo, pezzi di rame, metallo delle spolette. Smuoveva appena il terreno con la zappetta che suo padre aveva portato a casa un giorno dallo Zebio e fù così che discoperse un teschio con tutti i denti bianchi e giovani. Lo guardò perplesso senza sapere che fare, infine scavò più profondo e lo ricoperse.

...Giacomo ricavò sessanta centesimi. Li contò e li ricontò: due ventini di nichel e due palanche da dieci. Nel ritornare verso casa passò davanti al banchetto della Màlgari e non poté resistere alla tentazione di comperare dieci centesimi di castagne secche: tenendole in bocca per poi masticarle lentamente gli sarebbero durate fino a casa.

...Giacomo venne promosso alla quarta classe con una buona pagella; era stato bravo in aritmetica e in lettura. Quando ritornò a casa dopo l'ultimo giorno di scuola, sua madre gli disse che durante i mesi di vacanza sarebbe andato a custodire le vacche del santolo Ménego. Gli avrebbero dato da mangiare mezzogiorno e sera e, a fine stagione, anche cento lire. Cosi era meglio che andare in qualche malga, gli spiegò la madre, perché i pascoli erano vicini e alla sera sarebbe ritornato a casa per dormire. Fù una buona estate, calda ma con qualche temporale. Come sempre..

...Alla fine delle vacanze aveva raccolto un bel mucchio di cartucce e di palline di piombo, e forse tre chili di rame. Ogni sera quando rincasava vuotava le tasche dentro una cassetta per munizioni, di quelle che nelle nostre case venivano usate anche per riporre la biancheria personale sotto il letto. Sua madre sapeva e lasciava fare, solo gli aveva tanto raccomandato di non toccare i detonatori e le spolette perché potevano scoppiargli tra le mani come era accaduto al Bruno dell'Ebene, e tanto meno le bombe a mano che erano mortali. Lei pensava che con il ricavato di quel recupero avrebbe potuto comperare qualche matassa di lana dal Piero Ghellar, magari anche, per una volta, l'avrebbe lasciato andare al cinematografo. Fù invece molto sorpresa quando all'inizio della scuola Giacomo una sera le disse che voleva vendere quel recupero per pagare la tessera di balilla.

... - Ma cosa ti serve un pezzo di carta con il tuo nome? – gli chiese la nonna che ascoltava e seguiva sempre l'andamento della casa. - I miei amici in paese sono tutti balilla. E poi mi daranno la divisa e quando verrà la neve anche gli sci. - La divisa come ai soldati? Ma siete ancora bambini con il latte sulle labbra, disse la madre. Mi daranno il vestito da sciatore e anche una berretta di lana, calzettoni, sci, guanti. -Tutto per cinque lire? Allora ti conviene, - disse la sorella. - Queste cose non mi piacciono; non so perché. Ma se ti dànno tutta questa roba per cinque lire, fai pure, - concluse la madre-.

...Un giorno di settembre, prima della fiera di San Matteo, il Nin Postin consegnò alla madre di Giacomo un vaglia che veniva dalla Francia. Era di suo marito.

...Ricontateli anche voi, sposa. Li ricontò emozionata, come sempre le capitava le altre volte. Le sembravano tanti e fece confusione. Mille pensieri le passavano per la testa. Come ripartirli? Bisognava accantonare i soldi per l'acquisto del maiale: dalle ottanta alle centodieci lire. C'era da pagare il pane dal Toni Fornaro, da luglio erano circa cinquanta lire: mezzo chilo tutti i giorni, otto etti alla domenica. Giacomo aveva bisogno di un paio di scarpe perché gli erano venute piccole oltre che consumate, e a scuola non poteva arrivare con i piedi bagnati. Forse si poteva accontentare con un paio di zoccoli, ma durano poco E poi? Anche a Olga sarebbe necessaria una maglia di sotto. Attraversò la piazza del paese e poi entrò in chiesa per dire una preghiera alla Beata Giovanna per il suo uomo Dopo si sedette sull'ultimo banco a fare ancora un po' di conti a memoria. Uscì. Arrivata davanti alla bottega degli Stern entrò per pagare, intanto, quel conto fatto quando alla domenica scendeva in paese per la messa. Era per l'olio, lo zucchero, la pasta, il riso, la farina, il sapone. Mosè fece le somme e i riporti sul libretto che la madre di Giacomo aveva portato con sé e il totale corrispose con quello del libro mastro: centotre lire. Pagò. Mosè, che era stato in guerra con il suo uomo, scrisse “saldato” e mise la sua firma e dopo le diede una fetta di cotognata in abbuono. Lei credeva che il conto fosse di più e cosi comperò anche due etti di caffè da tostare, del più economico, per quando la madre si sentiva mancare il cuore, e anche una scatola di cicoria Frank e un pacchetto di estratto Elefante per fare qualche volta il caffellatte, un pezzo di sapone grande per il bucato e un chilo di saponina. Ma anche due etti di mortadella tagliata sottile per il mezzogiorno di domenica.

... - Devo studiare la storia per martedì. Prendo il sussidiario -. Giacomo andò verso la scala dove aveva appesa la sacchetta di scuola. Prese il libro e ritornò accanto al fuoco L'aperse sotto il lume e incominciò a leggere, dapprima in silenzio e poi a voce alta: “... L'intervento dell'Italia. Il nostro popolo aveva compreso che era giunta l'ora di strappare al giogo austriaco le terre irredente e con vibrante entusiasmo aveva chiesto che si dichiarasse guerra all'Austria... “ -Noi non abbiamo chiesto proprio niente, - lo interruppe.la nonna. - E il povero Tonle ce l'aveva raccontata giusta. Giacomo continuò: - “Benito Mussolini, il grande figlio del nostro popolo, che è oggi il Duce dell'Italia fascista accendeva gli animi con la parola e con gli scritti ardenti di patriottismo” - Non è vero niente, - disse ancora la nonna - Prova ad andare avanti, se trovi scritto quando siamo andati profughi nel Sedici e poi di quando siamo ritornati.

...Giacomo cercava la compagnia di Irene. Una sera, sulle loro teste, dopo che la luna l'aveva annunciata con un grande alone incominciò una nevicata a falde larghe e lente, senza vento. I cori sembravano venire da lontano, da tanto lontano. Tre giorni prima del venticinque un pomeriggio Giacomo andò a chiamare Irene per andare al Kunsweldele a tagliare un alberello d'abete. A scuola avevano detto che non bisognava fare l'albero a Natale ma il presepio, perché l'albero era una moda straniera. Da noi invece sempre si era fatto e poi costava di meno: qualche fiocco di bambagia a simulare la neve, fili colorati di seta, degli strobili imporporati e una stella cometa intagliata nel legno con il temperino e colorata di giallo lucente, quattro candeline e l'albero diventava splendido e luminoso. Quel pomeriggio, verso il tramonto, Giacomo con Irene tagliò un alberello che cresceva in un folto. Saltando con allegria tra la neve fresca ritornarono felici alla loro contrada dove erano già stati accesi i lumi.

...Il giorno ventitré arrivò suo padre. In quella sera che la neve scricchiolava sotto i chiodi delle scarpe, si fece tutto solo la strada dalla stazione a casa. Era stato via tre anni. Gli parevano trenta. Salendo con il treno guardava dai finestrini l’ombra delle montagne contro il cielo stellato, i paesi e le città illuminate giù nella pianura che si allontanava. In questo momento nemmeno più ricordava il chiuso della miniera e la tristezza della baracca che lo avevano accompagnato sino alla frontiera. Trepidava e quasi aveva timore ad arrivare. Quando Giovanni arrivò alla stazione da dove era partito tre anni prima non c'era nessuno ad aspettarlo. Anche quella mattina della loro partenza era notte ma sotto la pensilina di legno c’erano Giacomo, Olga, sua moglie e le altre donne e i figli dei suoi compagni. Dai finestrini avevano dato l'addio agitando i cappelli.

...Quando si presentò sulla porta della cucina tutti rimasero senza parole. Dopo che lui disse: - Sono qua- allora si alzarono e gli si fecero attorno stringendolo, toccandolo, abbracciandolo e baciandolo. Finché la nonna intervenne: - Ma lasciatelo respirare. Fategli mettere giù il sacco. Si guardò attorno per ritrovare quello che aveva lasciato: era rimasto tutto come era stato. Solo che c'era anche un albero di Natale nell'angolo tra la finestra e il focolare e disse: -Che bello!

...Come se fosse ritornato da un lavoro giornaliero in bosco e non dalla Francia dopo tre anni di miniera, volle ancora lui, con la paletta, allargare le brace sul focolare; sulla graticola piccola pose il tegamino con i tre leberbust, su quella grande quattro fette di polenta. Per mangiare non volle nemmeno mettersi a tavola. Seduto davanti al fuoco intingeva la polenta nel sugo ogni tanto portando alla bocca un pezzo di carne.

...Finivano le scuole e Giacomo dopo l'esame di licenza venne promosso dalla quinta elementare con una pagella dove i “lodevole” erano più numerosi dei “buono”. Come per la maggior parte dei ragazzi, finì così anche per lui il tempo della scuola.

...Giacomo e suo padre, dopo il raccolto del fieno, tutte le mattine di buon'ora salivano il sentiero del Camin. Non erano i soli perché quello del recupero del materiale disperso dalla guerra era rimasto l'unico lavoro che permetteva di guadagnare qualcosa. E poi le tremila lire portate a casa dalla Francia si erano assottigliate, sia per le spese del matrimonio di Olga, sia perché dovettero comperare una vacca perché erano stati costretti a vendere la Bionda al Titta Beccaro, “per vetustà”, aveva detto il sensale. Sul libretto della Posta erano rimaste solamente trecento lire, da conservare come riserva nei casi estremi.

...Un giorno il padre di Giacomo scavando davanti alla trincea italiana del Buso del Giasso discoprì prima le scarpe poi via via tutto il corpo di un soldato austriaco, anzi ungherese come intuì dal nome e dai dati che lesse sulla piastrina di riconoscimento. Aveva da poco compiuto i vent'anni quando da così lontano venne a morire tra le nostre montagne. Nelle giberne aveva le cartucce, nel tascapane le bombe a mano, la maschera antigas, alla cinghia il pugnale; nella tasca della giubba una medaglia con l'immagine di Francesco Giuseppe e una piccola, di metallo bianco, con la figura di santo Stefano. Un orologio, anche. Un orologio da tasca massiccio, con la catena d'argento passata attraverso le asole della giacca. Lo sfilò. Si era conservato bene, era a doppia cassa sul fondo e con coperchio sul quadrante; forse si era fermato non per la pallottola o per la bomba che aveva ucciso, ma per fine carica. In silenzio il padre di Giacomo passava lo sguardo dall'orologio che teneva nel palmo della mano ai resti di quell'uomo che aveva discoperto tra i sassi davanti alla trincea italiana.

...Lo mise lentamente in tasca e dopo, chinandosi, raccolse e mise da parte sopra una pietra quanto poteva essere recuperato. Ricoperse a badilate il corpo del soldato ungherese. Giacomo aveva assistito con sbigottimento a tutta l'operazione, in silenzio, e quando suo padre lo guardò e disse: - Era un ungherese. Anche questo aveva una madre e una casa dove l'aspettavano, - gli prese una forte commozione e si allontanò. Forse voleva chiedere qualcosa, perché suo padre si era comportato così, perché la guerra. Ma non sapeva spiegarsi. Non parlò per tutto il giorno.

...Al sabato pomeriggio Giacomo si vestiva con la divisa di avanguardista e raggiungeva i suoi amici nell'atrio delle scuole elementari dove il maestro Valentino organizzava l'istruzione e la ginnastica. Erano tanti, divisi in manipoli secondo l'età. C'era anche in divisa smagliante il capomanipolo Nini che un giorno Sua Eccellenza Renato Ricci aveva scelto per frequentare una scuola a Roma. Giacomo aveva fatto in modo di essere messo nella squadra di Nino e Mario, anche perché a questi avevano promesso gli sci e poi, se meritevoli, la partecipazione ai campionati nazionali dell'Opera Nazionale Balilla. Mario era caposquadra. Il maestro Valentino ordinava di mettersi in riga, caposquadra in testa; faceva l'appello e quindi comandava il saluto romano perché nel Metodo per l'educazione fisica era scritto cosi: “ ... La esercitazione si cominci e si termini col saluto romano, per fissare, nella mente dei fanciulli, un sentimento attraverso un movimento apparentemente inutile a ripetersi lezione dopo lezione”.

...In quell'autunno Giovanni, il padre di giacomo, rifece la cassetta per emigrare. La neve venuta in anticipo aveva fatto sospendere il lavoro del recupero e niente si Prospettava con l'inverno alle porte, se non poche giornate per spalare la neve al servizio Del comune o per fare i monumenti e gli archi per i campionati nazionali di sci dell'Opera Nazionale Dopolavoro.

...Giovanni che era ritornato dalla Francia con mille lire di risparmi, chiese di essere assunto come manovale. Prima lo tennero in sospeso e poi gli dissero di no. Forse il suo espatrio clandestino tentato in Svizzera e poi realizzato in Francia, o la non iscrizione al fascio, o chissà cosa altro avevano insospettito le autorità. Forse avevano avuto sentore di un impalpabile filo rosso che collegava la zona sovversiva di Schio con le contrade dell'Altipiano.

...Una sera di fine maggio Irene disse a Giacomo del suo desiderio di andare ai piedi delle montagne dove la sua famiglia era stata profuga nel Sedici. Abitavano in una casetta dentro un prato tutto circondato da ciliegi selvatici, ontani e betulle: il Prà del Giglio, era chiamato. In quella casetta, quasi una stalla, erano vissuti tre anni in grande miseria e lì era morta sua sorella Orsola, una bambina che lei non aveva mai conosciuta. Di questo posto avevano parlato suo fratello e suo nonno prima che morisse: -Vorrei proprio vederlo. Che ne diresti di andarci noi due Una domenica, in bicicletta?-

...Quando tutti furono passati risalirono in bicicletta. A Monte chiesero la strada, e poi ancora ai Capozz e al Maso; arrivarono infine, dopo aver passato il valloncello, nella casa abbandonata dove aveva vissuto la famiglia di Irene. Nell'aria era rimasto l'odore del gregge che aveva sostato e sul focolare c'erano ancora le braci lasciate dai pastori.

...Uscirono per andare al cimitero. Chiesero la strada a dei contadini che stavano raccogliendo ciliegie e, dopo avergliela indicata, chiesero da dove venissero. - Allora, - disse un uomo, - siete quelli del Prà del Giglio. Venite, venite a mangiare due ciliegie. Noi siamo i Nicoli. Vi ricordate di noi? No, non li potevano conoscere se non per averne sentito parlare. Loro due erano nati dopo che le famiglie erano ritornate sull'Altipiano; Irene disse che erano venuti da lassù per conoscere questa contrada e per portare un mazzo di fiori sulla tomba della sorella Orsola. Si ricordavano di Orsola, che era morta per febbre spagnola, ma anche di Matteo, di sua madre, di suo padre. Chiesero notizie di tutti e così seppero che Matteo era partito per l'Australia con la sua sposa, che il nonno era morto. - Dopo che siete stati al cimitero ritornate qui. Fermatevi a mangiare un piatto di minestra con noi. Ci fate un piacere -. Giacomo e Irene si guardarono e poi dissero di sì. Risalirono in bicicletta e andarono al cimitero. Cercarono le tombe piu piccole, il posto dei bambini era lungo le mura, al sole. Ce n'era una fila con piccole croci di legno e di ferro; su alcune si potevano leggere i nomi, su altre erano sbiaditi o mancanti. Non trovarono il nome di Orsola, e poi l'erba e i fiori di campo avevano coperto tutto: posarono i due mazzi di narcisi tra quell'erba e quei fiori. - Sono come i soldati morti in guerra, - disse Giacomo.

...Giacomo andò alla visita di leva e come usanza per l’ occasione i coscritti suonarono le campane a festa. Anche quel giorno non capì perché il colonnello presidente della Commissione di leva, invece di assegnarlo agli alpini come quasi tutti gli altri compaesani, lo avesse mandato in fanteria, lontano. No, non poteva sapere che sul tavolo il colonnello aveva una nota che nel casellario giudiziario al suo nome risultava scritto: “Nel 1935 ha partecipato allo sciopero durante la costruzione del Monumento-Ossario”.

...Fù in questo tempo che a Giacomo giunse la cartolina che lo chiamava alle armi. Il treno in un primo tempo lo portò in una caserma del Piemonte per l'istruzione. Poi con un gruppo di reclute vagò in treno qua e là per l'Italia rincorrendo un reparto che non raggiungeva mai perché sempre si spostava. Infine nei pressi di Roma trovò definitiva assegnazione all'81° Reggimento fanteria della divisione “Torino” che sulla carta dello Stato Maggiore faceva parte di un Corpo autotrasportabile, anche se non c'erano gli automezzi. Nel giugno del 1941, dopo che in Albania si era conclusa la campagna contro la Grecia, Mario era venuto in licenza speciale e quel giorno a Vicenza era in attesa del treno che doveva riportarlo al reggimento. Entrando al “Posto di ristoro per la truppa”, seduto in un angolo, solo, riconobbe Giacomo. Si avvicinò sorridendo, chiamandolo per nome. Giacomo si alzò in piedi, prima perplesso vedendo subito un sergente degli alpini, poi stupito e, infine, commosso. Si abbracciarono e contemporaneamente si chiesero: -Dove vai?- Si sedettero, stettero un poco in silenzio, guardandosi. Poi Giacomo ripeté: Dove vai? Io vado a casa in licenza breve perché sono in partenza per la Russia. -Io sono stato a casa un mese, ero in Albania. Adesso rientro al reggimento. Saranno quasi due anni che non ci vediamo. Il tempo a volte è veloce, a volte lento. Come vedi mi hanno messo in fanteria. Seguo il destino Irene come sta? E i tuoi? - -Irene è a casa che mi aspetta. Ma era meglio se seguivo il suo consiglio quando tre anni fa mi proponeva di andare in Australia.-

...Dopo sette mesi da quell'incontro Mario si trovò anche lui al Fronte Russo. Era l'inverno piu freddo del secolo, quello che congelò la macchina da guerra tedesca.


...Nella casa silenziosa. Sulla mensola del camino c'era un pezzo di proiettile austriaco da 10. Ricordo che serviva a contenere le molle per prendere la legna accesa e riordinare il fuoco; sotto questo pezzo di bomba vidi un foglio ripiegato. Lo presi, soffiai via la polvere, l'apersi e lessi: "Ministero della Guerra- Direzione Generale Leva Sottufficiali e Truppa Ufficio Stato Civile - VERBALE DI IRREPERIBILITÀ - relativo al fante ... compilato dal Deposito dell'81° Reggimento fanteria "Torino" in data 30 marzo I942. Si certifica che dal documento suddetto risulta che ... in occasione del combattimento avvenuto il 25 dicembre I94I a Novo Orlowka, fronte russo, scomparve, e che dopo tale data non venne riconosciuto tra i militari dei quali fu accertata la morte o la prigionia. Essendo ora trascorsi i tre mesi dalla data della sua scomparsa e risultando che le ulteriori ricerche e indagini esperite in ogni campo e sotto ogni forma sono riuscite infruttuose nei di lui riguardi e che pertanto non è stato possibile nel frattempo conoscere se egli sia tuttora in vita o sia in effetti deceduto, viene redatto il presente processo verbale di irreperibilità a norma dell'art. I 2 4 della legge di guerra, per gli effetti che la legge ad esso attribuisce. NB. Il presente atto non è valido agli effetti dello Stato civile".

La contrà de l'Acqua ciara
Coro: I Crodaioli
Compositore: Giuseppe (Bepi) De Marzi

La contrà de l'Acqua ciara
no zè più de l'alegria
quasi tuti zè 'ndà via
solo i veci zè restà

Le finestre senza fiori
poco fumo dai camini
senza zughi de bambini
la montagna zè malà.

Su in contrà de l'Acqua ciara
solo i veci zè restà.
Torno torno a la fontana
dove i sassi sa le storie,
se gà perso le memorie
che racconta la contrà

Nò se ride, nò se canta,
nò se fa filò la sera,
no vien più la primavera,
la se gà desmentegà

Su in contrà de l'Acqua ciara
solo i veci zè restà